Venus, ricordi vecchi del Havana 1996
Non mi ricordo più dove ci siamo incontrati per la prima volta. Sono passati quasi 20 anni. Quasi. Penso che era sul Malecon, nella parte vecchia verso il Prado. Si era li, sul Malecon. Adesso mi torna in mente. Lei aveva una gonna per dire un nome di un vestito ma era piuttosto un pezzo di tessuto che copriva solo la parte di venere e basta. Si basta. Il vestito era di colore arancione, un arancione visibile a chilometri. Aveva una mini gonna arancione, un top che non riusciva a coprire il tutto pure arancione e delle scarpe anche arancione. Il resto era tutta pelle, nera come la notte. La sotto gli portici del Malecon la vedi per la prima volta e subito mi innamoro. Strana malattia che innamorarsi alla velocità di un colpo d’occhio.. Una malattia senza cura che porta sempre ai amori rubati per dire una parola alla francese. Chi non ha questo nelle vene, non lo po capire. Pensa soltanto che l’amore è come un romanzo, lungo, fatto di Principe e principi, di drammi e melo drammi e per lo più, eterni, o quasi. Io mi innamoro anche cosi, in un quarto di secondo, alla velocità dello scatto. Comunque. Mi sono innamorato, questo è il punto.
Lei camminava sotto le portici del Malecon e in questo disastro di cimento e pietre, dové tutto crolla e sembra abbandonato, era li a passeggiare come un fiore di primavera uscito mezzo alle rovine. Mi ricordo che c’era sotto quelle portici, un gruppo di uomini seduti a giocare a domino. I cubani giocano e si litigano molto ai domino. Quando lei passa in quel momento, uno di loro, si rovescia e quando stava per cadere in dietro e di brutto, disse: Ay Candela! Si. era proprio la parola giusta. Ay Candela! Come io non ero cubano, non lo detto, non mi è venuto di spontaneità pero questo era la parola giusta. Lei era Candela. si.
Io la segui di subito. Rimanevo a pochi metri di distanza, a volte avanti, a volte in dietro. L’importanza era di farli capire che ero li per lei. Solo per lei. Ero come un cacciatore davanti alla sua prede. A un certo momento, si gira di colpo e mi disse con un sorriso da fumetto : “che fai?” Infatti, che faccio? Facevo proprio nulla a parte il fatto di seguirla pero non li potevo dire. Ero in missione segreta, dentro un romanzo di contro spionaggio. Cosi pensavo. Perché contro….non lo mai capito! Ho passato la mia vita a farmi romanzi, senza e con il contro spionaggio. Oggi non so neanche più di che che lato mi trovo pero questo è un altra storia. Comunque in quel momento, la mia missione era Lei e basta. La mia tattica ( perché in questi casi, c’è pure una tattica!) di approccio aveva funzionato: insistere senza insistere, essere visibile e trasparente nello stesso momento A questo gioco sono il migliore, poi una volta
con me, le donne si rendendo conto che sono un pesao. Un vero pesante e mi lasciano, pure e spesso con le lacrime. Quasi tutte. Comunque li rispondo che “nulla, faccio una passeggiata, tiro foto…” “ perché? Sei un fotografo?” “si faccio il fotografo”
Al epoca facevo veramente il fotografo. Ero ancora giovane e pensavo che sarei diventato famoso…che avrei vinto mille premi e chi sa cosa ancora. E perché no. Al epoca la parola faccio il fotografo era ancora tutta magia. Era come dire faccio il pilota di Formula Uno. Era una cosa quasi fantastica, una cosa che faceva sognare. Pure a me; al epoca!
“e tu che fai?” li risposto. “niente torno a casa. Vado fine al Malecon, al angolo con il Prado e cerco una macchina che mi porta dopo il tunnel verso Playa del Este”. Abito lontano da qui…” Cerco – busco – una macchina significava nel linguaggio Avanero, faccio auto stop. Infatti al angolo del Malecon e del Prado (o Paseo di Marti, è lo stesso posto con nomi diversi) c’erano sempre una folla di ragazzine o uomini adulti che chiedevano un passaggio utopico per tornare verso casa…verso le periferie lontane del Havana accanto alle famose Playa del Este, cosa che non significa niente visto che le playa sono a volte spiagge di sabbia stupende ma anche sobborghi degradati con palazzoni giganteschi e invivibile, il tutto su 20 chilometri di distanza. Il tutto di fronte al sole, terribili sole tropicale. Utopico perché trovare un passaggio in macchina era come vincere al lotto visto che c’era cosi poca benzina in giro che le macchine erano più che rare. Le ragazze potevano stare là, in quel angolo di strada, 2 o 3 ore sotto al sole a bruciare e buscare una macchina nello stesso tempo. L’unica fortuna era di vedere passare una TUR, macchine per turisti dove sulla targa era scritto giustamente TUR! La macchina dei sogni. Un sogno che portava, a volte, anche in Europa. Il sogno del epoca! Io ero un turista ma senza la TUR. Un non senso per il cubano. Ero un non senso! Mica la prima e l’ultima volta.
I cubani sono il popolo più camminatore al mondo. Possono fare 10, 20 o 30 chilometri cosi al giorno, una cosa demente sopratutto quando si sa quanto brucia il sole del Havana, un sole alla verticale!
Pero torniamo alla mia principessa. Visto che il tempo a Cuba, la nozione del Tempo è un valore che non ha nessun valore, lei aveva tutto il tempo che volevo io. Il tempo a Cuba è questione di Amore. Quando finisce l’Amore, finisce la giornata. Ecco. Comunque la invito a sederci sul Malecon, cosi, per incontrarci. In Europa o in un altro posto “normale” al mondo, l’avrei invitata a bere una cosa in un bar pero li, non c’era nessun bar al meno di 2 chilometri intorno e non mi andava di fare ancora chilometri e
chilometri a piedi. Il sole era ancora li, al solito posto, verticale a me e non vedevo l’ora del tramonto. Li chiese nella mia solita finta timidezza, la solita cosa originale….” ma poi, come ti chiami?” il poi ha tutto il suo valore in quel momento. È proprio il poi…che da peso alla domanda. Senza ma poi, la domanda sarebbe come dire, banale. Si Banale.
“Venus” “mi prendi in giro?” “no. il mio nome è Venus” “guarda”. Mi mostro la sua carta d’identità, il carnet come si dice in queste parte. Era scritto Venus. Si, la Dea del Amore. Poi una seria di nomi spagnoli di altri 2 chilometri di lunghezza perché agli spagnoli, piace fare semplice. Il poi in questo caso non ha nessun valore, è un semplice poi. Comunque era scritto Venus Assunta Hernandez Rodriguez ecc…alla fine, pure a me è cosi. Io mi chiamo Nicolas Charles Roger Pascarel. Cosi è scritto sulla mia carta d’identità e passaporto e cosi dovrei firmare sempre. Mica sono tanto diverso. Solo che io non mi chiamo Casa Nova!
Io la guardo attentamente e mi rendo conto che faceva il doppio di me. Tutto era gigantesco in lei, sembrava uscita di un romanzo del 800, di quel esploratore bianco che scopre uscendo della giungla tropicale, la Forza di misurato dei guerrieri africani. In quel momento, mi sentivo un Lilliput. Lo ero. Aveva delle gambe che non finisce più, sottile ma robuste con alla fine, un culo potente, africano, naturale e non palestrato, duro come il marmo e nello stesso tempo, leggero come un farfalla. Teneva delle spalle da nuotatrice del ex Germania del Est e delle tette grosse come due pallone. Lei era un dolce mischio tra un lottatore di una tribù Yoruba e una ginnasta acrobatica cinese. Si sentiva una forza fisica incredibile, di misurato e nello stesso tempo, la leggerezza e l’agilità di una danzatrice. Aveva un fisico sub-naturale, sembrava creata per un Dio del Amore e Non per noi, poveri mortali. Lei faceva paura e attirava nello stesso tempo. Pero più mi facevi paura e più mi attirava. Cosi sono.
A me questa cosa che lei mi aveva detto la verità su una cosa che non sembrava, il suo nome era veramente Venus, mi metteva in pace. Mi dava fiducia.
Rimaniamo cosi sul muro di pietre di fronte al mare ancora per un ora e poi. E poi nada, se fuè. Prima di partire mi lascia il suo numero di telefono e l’indirizzo di casa sua. “chiama mi domani e vieni a trovarmi”. “ beso”
Quella sera torno nella mia casa a piedi. Alla fine scrivendo cosi faccio credere al lettore che torno a casa sempre in taxi o chi sa come ma invece torno a casa sempre a piedi, ancora oggi. Dovevo fare altri 2 o 3 chilometri pero con il vento
fresco che gira sempre in questa parte della città. Facevo un chilometro e mezzo lungo il mare e poi al incrocio con la calle O, giravo verso le strade del Vedado per raggiungere la calle C dove vivevo, un altro chilometro e mezzo. Tutta la mia vita ho camminato tanto, era il segreto della mia giovinezza, camini e respiri la vita.
Avevo una casa piccola ma bella, con un patio che dava direttamente sulla strada…cosi vedevo i movimenti della calle, cosa che mi piace. Una casa belle époque con due colonne bianche stile greco nel patio. Par chance, avevo pure un telefono che dovevo dividere con la proprietaria, Carmen che abitava al piano di sopra. Carmen lavorava al ospedale o piuttosto al laboratorio del ospedale, faceva ricerca ma di ricerca non c’era più niente visto le difficoltà economiche che viveva il paese. Insomma, non andava mai a lavorare e ogni mattina alle 8 e 30 andava soltanto a timbrare la sua presenza e poi basta, tornava a casa di nuovo con il suo vestito bianco, scarpe bianche, fazzoletto pure lui bianco sulla testa. Erano le 10 di mattina più o meno.
La mia strada era tipica delle strade del Vedado, quartiere elegante, ricco e pieno di alberi, di ficus a volte giganteschi che rompeva il marciapiede. Faceva sempre fresco perché alla fine della calle C, in discesa, c’era il Malecon pero il lato del Malecon che da sul mare aperto, l’Atlantico, Enorme. Di fronte, c’era solo l’America. Il vento del oceano si infiltrava sempre di sera e girava in tutto il quartiere prima tra le fogli degli alberi e poi dopo, dentro casa mia. Era la mia dolcezza. Spesso mi mettevo la fuori sulla sedia, fumando una sigaretta con un bicchiere di rum invecchiato ma non troppo e sentivo passare il vento sul mio torso nudo. Avevo come vicino di casa, Orlando, un vecchio pazzo che fu il mio Maestro nelle miei avventure cubane, c’era pure il CDR (Comitato di Difesa della Rivoluzione) di fronte a me e il commissariato di polizia al incrocio. Sul lato sinistro avevo un altro vicino, un nero, una volta lanciatore di martello. Aveva vinto non so che competizione internazionale ed era fiero di farmi vedere i suoi trofei che non interessava più nessuno! Non aveva più il fisico di un lanciatore di martello ma di uno che si lascia andare. Anche se dicendo cosi, è stato l’unico lanciatore di martello che conobbi, fine mò! Spesso mi invitava a casa sua, per farmi soltanto delle domande sulle miei foto, per chi lavoro, che giornale, come ecc…rispondevo sempre con bugie enorme e basta. Era un informatore e non mi piaceva il soggetto. Si litigava ogni giorno con la sua sinora che tra l’altro era molto più giovane di lui e sempre sexy. Pure lei faceva l’infermiera e pure lei, andava soltanto a timbrare il suo finto atto di presenza. Loro, la finta infermiere e il lanciatore di martello si litigavano tutti giorni e finiva sempre nello stesso modo, lui o lei faceva l’amore e io sentivo gli urli di loro due, prima per litigio e poi dopo per coito. Credo che andavo a casa sua, piuttosto per vedere l’infermiera che mi faceva sesso, per dire una cosa banale del uomo in cerca di fantasma, piuttosto che rispondere alle sue domande noiose e ripetudine Forse lui sentiva questa cosa e per cioè mi metteva sotto controllo. Un controllo fisico che significava in altre
parole, se mi allontano e ti vedo con la mia infermeria, ti lancio in aria come lanciavo, una volta, i martelli. Il messaggio era chiaro e martello non ero. Comunque.
Il giorno dopo, la mattina, chiamo la mia bellezza e li do un appuntamento. Questa volta sul Malecon pero nel lato che piace a me, vicino al Hotel Riviera, il lato aperto sul Atlantico come già ho raccontato. Solo da questa parte del Malecon, si vede il tramonto vero e a volte il sole enorme, rosso che cade nel acqua. Par chance quella sera era proprio cosi. A volte la natura aiuta i spiriti liberi e romantico come il mio. Lei venisse al appuntamento, puntuale.
Parlavamo e parlavamo, spesso parlo troppo. Con il tempo ho imparato a stare pure zitto pero al epoca, parlavo ancora troppo. Comunque. quando proprio cadesse il sole nel Oceano, lei mi disse “ Amor, baciami, adesso”. Avevo capito bene. Si. “Amor – Baciami – Adesso.” Sembrava un Bolero. Lo era.
Senza aspettare che me lo dicessi un altra volta, non si sa mai, nel caso che ci ripensa bene, mi butto di colpo come un vero selvaggio, un morto di fame con tutto il mio corpo sul muro di pietra e la bacio con tutta la mia forza. E c’è ne voluta della forza per farla cadere su muro di pietra, rovesciarla come nei film americani, pero eravamo di fronte al America, passare le miei mani piccole e sottile, prima una lungo il suo colo per stabilizzarla e girarla nella posizione che piaceva a me e poi con l’altra, prendere di forza il suo corpo, per farli capire che sono io il regista del bacio, Il regista del Amore. Cosa che faccio sempre, ancora oggi, sopratutto oggi Comunque, fu cosi che la bacio per la prima volta, con i nostri corpi sdraiati totalmente sul durissimo muro di cimento, al tramonto e di fronte al mare, agitato in quel ora. Le nostre teste erano a solo 2 metri del Atlantico, in mezzo al Oceano. Quasi quasi sembrava che il mare si sollevava per agglutinare i nostri corpi. Non so perché ma sono sempre piaciuto a queste donne gigantesche. Forse si sentono rassicurate…in un certo senso. Siamo rimasti cosi un bel 10 minuti che sembrava un eternità. Un eternità finché una Chevrolet o una Buick passando sul Malecon a grande velocità, ci sgridi prima con il clacson e poi con “Oyé candela!”. Era finito il bacio. Quello del Malecon.
La invito a casa mia, ovviamente. Traversammo il Vedado per prendere l’elegante Avenida de los Presidentes. Passando davanti alla bellissima Casa del America, mi giuro che un giorno ci avrei fatto una mostra dentro, cosa non ancora avvenuta ma la speranza è il dono più preciso per l’artista. Camminavo con la mia bellezza a fianco con la forza e l’energia della gioventù. Sono dei momenti nella vita dove
l’uomo si sente un gigante. L’amore serve a questo, dimenticare come siamo fatti realmente per assomigliare a un Super Hero, pure per pochi minuti.
Entrando in casa mia, lei fece come fanno tutte le donne al mondo, guardano con finta tutto quello che è possibile di vedere o capire da una casa da uomo. La invito a prendere un bicchiere di rum, avevo una bottiglia sempre aperta nel frigorifero, li nel patio. Un bicchiere di rum e una sigaretta. Lei dice di no. Non fumava e non beveva e aveva 10 anni meno di me. Comunque l’idea di stare fuori non era tanto buona perché sentivo occhi da per tutto. In particolare, quelli di Orlando che vedendola, si giro dicendo a se stesso: “una negra! “Una Negra!”
Decido di tornare dentro e la sdraia sul letto. Al orizzontale siamo tutti uguali. Fare l’amore a Cuba è come andare alle terme romane, ma senza i romani, significa perdere un chilo di carne a ogni coito. Per cioè non ho mai ingrassato in tutta la mia vita, il poco che riesco a guadagnare lo riperdo subito a forza di fare l’amore al tropico. Questo è una ragione che mi sembra tanto meno, razionale. Fare l’amore al Tropico significa trovarsi dopo poco tempo (non parlo di quelli che fanno sesso alla velocità di una sigaretta…ovviamente quelli la non conoscono questa realtà), comunque dicevo che fare l’amore al tropico era come trovarsi a un certo momento, dentro un fiume che scivola tra i corpi. Un fiume dovuto al sudore che scappa dei corpi in fiamme. Io perdevo tanta acqua. Tanto per colpa del tropico e tanto perché fare l’amore con una Dea Yoruba non è mica una semplice passeggiata. Nudo sembravo ancora di più un Lilliput e lei ancora di più gigantesca. Avevo una Pantera nel mio letto della calle C. A me le difficoltà mi piacciono e lei era un difficoltà. Da superare.
Dopo un tempo interminabile, sono finalmente venuto. Lei no! Visto che questa cosa mi intrigava, io li disse, cosa che non chiedo mai visto che non c’è bisogno di chiedere queste cose tanto si vede, comunque li disse “ ma sei venuta?” “no, non sono mai venuta” “come Mai Venuta?” “in che senso, Mai Venuta?” “nel senso che mi piace fare l’amore ma sono mai venuta in vita mia” “ma proprio Mai?” “in vita tua, Mai…” “ ma non ti piace fare l’amore?” “si mi piace tanto ma non so perché non vengo!” “pero tu mi piace da morire”
Silenzio silenzio
Era la prima volta che una donna mi diceva tra l’altro in un modo cosi tranquillo e sereno che non era mai venuta in vita sua. Non ci credevo o non ci volevo credere.
Come ero giovane e forte, rifai di nuovo l’amore, di subito. Bellissimo fare l’amore con una pantera. Si bellissimo. Di nuovo e dopo un tempo altre tanto interminabile, vengo. Lei No. Infatti questo fatto che lei non veniva non sembrava renderla triste. Era felice, sorridente e si vedeva che ci metteva tutto l’Amore suo a fare l’amore con me ma non veniva. Passo la notte a fumare, cosa che so fare bene e a fare l’amore, altra cosa che so fare pure bene. Già! Io venivo e lei non veniva ma eravamo felici. Ci siamo addormentati cosi, in braccia uno al altro, intrappolati per sempre, nudi, nel sogno.
Cosi andava la vita.
Non facevo foto da 2 o 3 giorni e questa cosa mi irritava. Con le donne, mi perdo. Totalmente. Mi sono perso. Nel amore divento nevrotico e facilmente dipendente. Ho bisogno di essere fisicamente e/o intellettualmente dipendente da una donna. Di essere in un certo senso, sempre sotto pressione par amarla e dare il meglio di me. Senza quello, mi annoio facilmente e la noia è la peggiore delle malattie, fugo. Il sesso è anche una forma di dipendenza. Non posso stare con una donna che non ha voglia di me – neanche per 48 ore – non lo accetto. E contrario alla mia natura – e non vado contro la mia natura – non perché mi sento rifiutato ma perché non mi posso allontanare con la mente, non Sogno e il sesso è per me un auto scatto verso il sogno. Il sesso è abbandonarsi totalmente al altro, dove non esistono più barriere, muri o differenze ma solo Noi, nudi con il desiderio di condividere, di abbandonarsi insieme. E l’unico viaggio verso l’incognito, andarsene verso un mondo totalmente immaginario. Per me l’Amore è condividere tutto ciò con l’altro. O tutto, O niente per riprendere un famoso slogan giustamente cubano. Si con me è, o tutto, o niente. Avevo l’abitudine di uscire di casa presto la mattina e insieme alla macchina fotografica, facevo chilometri e chilometri a piedi, al incontro. L’incontro con me stesso ma questo lo capito, tanti anni dopo. Quando lei veniva a casa mia, non potevo scomparire cosi di mattina. Era un non senso per una cubana. La mattina si dorme e basta. Io non dormo la mattina ma neanche la notte. Dormo di giorno. È l’unico momento dove riesco a riposare veramente, dove trovo la pace. La notte sono fuoco, in ebollizione, troppo agitato per dormire. Forse è la Luna che sta dentro il mio segno che mi porta a questo stato d’anima. Non lo so pero le miei nevrosi arrivano sempre di sera, in tarde serata, quando la luna è sveglia.
A casa, avevo creato un nascondiglio, sotto al pavimento dové mettevo i rullini.
Non si sa mai…e questo non è ancora una storia di contro spionaggio ma di una realtà del tutto vero. Da mesi, facevo foto e non vedevo mai niente di quello che avevo scattato. Nulla, il vuoto. Era cosi al epoca…ah belli tempi! Si. Un giorno al angolo della calle L e della famosa 23, avevo trovato non tanto per caso, un turista, uno vero, non come me. Un tipo di Marsiglia che stava per tornare a casa. Li chiese di portare con se una cinquantina di rullini che avevo nascosto e una volta a Marsiglia di spedire il tutto a Parigi. Dopo 5 minuti di attesa, lui rifiuto per paura. Questa cosa mi angosciava perché temevo un controllo al aeroporto del Avana. Per fortuna, il controllo non è mai avvenuto. Solo una volta ma era 3 anni dopo, il tempo di diventare finalmente famoso – pero, ripeto, ha durato poco – la poliziesca di turno, una mulatta sensuale mi chiese di aprire tutto il mio paco di foto, un paco enorme. La poliziesca con due stelle sulla camicia verde ne tiro una, a caso e mi disse con un tono minaccioso: “ e questa roba, cos’è?” Per fortuna non tira quella peggiore ma una guardabile. Per fortuna si. Ero già pronto per l’interrogatorio quando li butto in faccia, una lettera firmata del Ministro della Cultura di Cuba dicendo che l’artista, El Senor Nicolas Charles Roger Pascarel era invitato della Repubblica Socialista di Cuba per fare una mostra alla Fototeca de Cuba, il Museo della Fotografia del Avana. Era scritto cosi nel puro stile socialista. Tenevo con me altre lettere ufficiale dello stesso genere come l’Ambasciatore di Francia a Cuba ecc… Era al epoca, una cosa molto rara, essere invitato come artista a Cuba sopratutto che io, non ero comunista e nemmeno sindacalista. Niente di tutto ciò!
Comunque ero invitato per fare una mostra li, una o due conferenze e un corso al Istituto Superiore de Arte. Una parola! Una parola si sopratutto visto le immagini che mostravo di Cuba. Mostravo l’Inferno. Una parodia del Inferno. La caduta degli Dei, l’estinzione di un mito, Cuba! La mostra fii grande rumore al Avana, un Evento, dove sentivo di una parte, il disprezzo dei giovani fotografi locali dicendo che solo a un straniero era permesso di mostrare l’indimostrabilità (una parola presa per un altra pero mi piace nella sua complessità, sembra quasi comunista) e che loro invece sarebbe tutti finiti in galera facendo vedere la stessa cosa e del altra parte, la considerazione e simpatia della vecchia generazione e tanto famosa dei fotografi cubani come Corrales, Korda, Diaz ecc…che, erano più che amichevole con me e ridevano discretamente del exploit che consisteva a mostrare i tabù e anche di più, della società attuale cubana.
Mi ricordo che Corrales, uno dei più grandi fotografi mai incontrato in vita mia, mi prese da parte e mi disse : “giovanotto, se un giorno mi chiedono di fare un libro sulle 100 fotografie più belle al mondo, metterò una di lei “ e mi mostro la foto in questione. Era un nudo
ma un nudo nel puro stile mio, visto che non faccio mai nudi. Forse è stato l’unico nudo che ho fatto in vita mia! Credo di si. Quel nudo, lo venduto ben 3 volte in galleria e ben 30 000 franchi ho guadagnato. Dovrei fare più spesso dei nudi…
Un giorno lo stesso Corrales mi invito a casa sua, un pranzo domenicale per regalarmi una foto sua. Come ero giovane e quasi famoso e con la pretenziose della gioventù, rifiuto perché ero preso di altre cose.. Un imbecille. Si ero un imbecille. Questa cosa mi è rimasto sempre di traverso, sapere quanto ero un cretino, un pretenzioso cretino! Corrales è morto 10 anni fa, già e non ho avuto il tempo per scusarmi. Oggi lo faccio. Scusa mi Raul, ero un povero pretensioso cretino fotografo e neanche famoso. Di Corrales conservo soltanto una “dédicace” di un libro suo ed alcune foto di noi due insieme ma questo sono altre storie. Conservo l’immagine di un vecchio signore gentile, aperto e delicato con sua moglie sempre a fianco (i più grandi artisti hanno sempre avuto la moglie a fianco, io No e per ciò non sono mai diventato un Grande Artista – colpa delle Donne). Raul è la storia viva della Rivoluzione e le sue immagine che sono pura Poesie sono dentro i più grandi musei al mondo!
Mi sa che mi sono completamente perso. Scrivo e mi perdo. La memoria è terribile. Sono terribile.
Dov’ero? Ah si, al aeroporto Jose Marti del Avana. Comunque! Comunque il pacco era già aperto e lei, la mia mulatta a due stelle si scusa e chiede un aiuto per richiudere il tutto. Questa scena mi aveva data soddisfazione. Mi sentivo uno importante. Ma forse ero l’unico a sentire la Mia importanza. Quasi lo ero pero come ho già detto prima, quel tempo di gloria ha durato ben poco. Peccato perché mi piaceva girare il mondo, essere invitato, prendere gratis voli intercontinentali e sentire che la gente intorno a me, prendesse cura della mia persona. Ma forse non era il mio destino e la cosa fu breve. Comunque al epoca dei rullini nascosti sotto il pavimento non ero per nulla famoso e la mia preoccupazione era di farli passare al controllo della dogana e mandarli a Parigi. Non potevo immaginare che quel rullini sarebbe finiti un giorno, in una e poi due grande mostre con il consenso del Comandante in Jefe.
Scrivo, scrivo e mi rendo conto che ho abbandonato la mia bellezza sul letto di casa mia. Sono di nuovo, Terribile. Lei di sicuro sta ancora li, a dormire. Io, come dicevo, mi perdo e mi tuffo con l’ivresse della mezza-età per ritrovare intatta la memoria.
La vita con la mia vida era a volte, stressante. Appena mettevo il muso fuori casa, che sentivo mille battute, allusione e chi sa cosa ancora. Lei era una tipa pericolosa, decisamente pericolosa. Venus era semplicemente tutto Troppo, troppo sensuale, troppe tette, troppo culo, troppo Venere…tutto troppo che non si poteva camminare con lei in santa pace. Gli uomini pure accompagnati si giravano e facevano mille commenti che spesso non riuscivo a capire, linguaggio tutto Avanero! Io, non avevo tra l’altro le spalle cosi larghe per contenere da solo, la furia degli uomini. Fosse solo uno. E visto che perdevo un chilo al giorno o piuttosto a notte, ero senza energia per queste follie.
Spesso la portavo al cinema, vicino casa, il Riviera, l’elegante Riviera che si trovava (e si trova ancora) sulla calle 23. il biglietto per i cubani costava 1 peso e per i turisti, 1 dollaro. Con un dollaro avevi 25 peso cubani. Io come sembravo, oramai, più cubano che mai, pagavo solo 1 peso cubano. Con un dollaro, potevo andare 25 volte al cinema. Ero al risparmio, non di energia ma di tasca! Comunque un giorno che andavamo al Riviera per vedere credo, un film di Tarantino, quello con John Travolta, lei mi tiro al improvviso, nel buio della sala, uno schiaffo enorme. Uno schiaffo di quelli che ti fanno girare la testa. E giro.
Nel film in questione, c’è come in tutti film, un attrice. Fine mò, niente di particolare. Tu guardi un film e vedi degli attori e/o attrice…se no che film sarebbe?? comunque lei mi disse: “ti piace la ragazza?” “che ragazza?” “la ragazza dello schermo cretino!” “si perché….?” E Vlan, ecco lo schiaffo, in piena faccia. Per la prima volta gustavo alla gelosia tipicamente latina e totalmente irrazionale. Candela. Si era candela. Non mi poteva piacere l’attrice del film che si muoveva sullo schermo! E che dovevo fare..? Chiudere gli occhi quando l’attrice apparisse..?? non lo so comunque lo schiaffo lo preso e pure bene. Una volta tornando a casa e sdraiati sul letto per fare l’amore, lei mi disse, dritto negli occhi, carezzando il mio torso nudo… “ senti amor, se io ti vedo con un altra donna, sai che faccio…? “adesso te lo dico cosa farò…Prendo un bidone di benzina, sai i bidoni di plastica da 5 litri, e ti metto la benzina addosso mentre dormi. Poi ti metto fuoco”. “ ecco quello che faro”.
Vénus non scherzava a fatto. Proprio per niente. La mia principessa era pure una vera pantera. Non era solo un immagine romanesca ma la pure realtà. E le pantere come si sa, soprattutto le pantere nere, agiscono di notte, cosi, quando non te lo aspetti. Già che non dormo, o quasi, la notte ma questa cosa detta con gli occhi della lucidità, mi renderò ancora più agitato del solito. Facemmo l’amore. Io venivo e lei non veniva. Tutto normale.
Una ragazza inglese mi avrebbe detto : “ Nico, sai che faccio se ti vedo con un altra donna..? “ io mi suicido”! Un italiana mi avrebbe chiesto il mio conto corrente ma lei, Venus, mi uccideva. La vita è a volte cosi, una questione di location.
Con il tempo che passava, avevo ritrovato una certa disciplina e cosi potevo andare a fotografare liberamente visto che ci vedevamo un giorno si, un giorno no. Comunque un giorno di pomeriggio, deciso di andare a trovarla a casa sua. Non ero mai stato ed ero curioso di vedere lei in un contesto diverso. La chiamo e li disse che in fine pomeriggio sarebbe passato da lei. Più tardi saremo tornati al Avana da me. Questo cosa mi entusiasmava. Era come andare verso un altra avventura, una cosa nuova. Dovevo solo trovare una macchina, un taxi e basta.
Alla fine trovare un taxi ed andare in periferia, cosi lontano, non era cosi semplice come l’avevo immaginato. Credo che ho passato più di un ora, il tempo di bagnarmi, mezza alla strada che bruciava per trovare finalmente uno che mi voleva portare li. Il sole al Avana è a volte come un lancia fiamma pure nel mese di ottobre. Era ottobre. Il tipo, il tassista in questione non era per niente taxi ma fa lo stesso. Era un bianco molto alto e molto avanero e in questa 126 polacca, sembrava ridicolo. Il Comandante aveva comprato quasi un milione di 126 polacche – ah gli amici! – e con il caldo che fa a cuba, non resisteva a lungo. Tutte avevano lo sportello del motore che si trova in dietro e non avanti, aperto. Aperto per fare entrare aria, vento, freschezza. Comunque siamo partiti cosi. Lui giustamente non aveva mai messi in piedi in questa lontana periferia pero i dollari ti fanno pure volare. Era un viaggio interminabile. Ogni chilometro lui chiedeva il cammino finché mi chiese a me, ma perché proprio io, straniero, dovevo andare a perdermi cosi lontano. Io non dicevo niente, solo…”e vai, vai avanti che ci siamo, quasi..”. Finalmente siamo arrivati. Lei era davanti la porta di casa sua e mi aspettava. Era appena uscita della doccia (si vedeva) e portava neanche 100 grammi di stoffa addosso. il tassista si fermo di colpo e sgridando disse : Ay Caramba! Pure lui… Venus faceva questo effetto a tutti gli uomini, bianchi o negri, gialli o rossi…era cosi.
Viveva in campagna. si. Non era periferia, era proprio la campagna. La città non si vedeva più, già da parecchio. La casa era piuttosto grande e pulitissima. Era una bella casa pero al confine del mondo. Sperduta. Entrando incontro suo padre con solo 10 anni più di me, quasi coetanei. Lui si che
era veramente nero. Era Nerissimo. Lei sembrava decolorata confronto a suo padre. Era un gigante, un vero gigante e teneva dei muscoli d’acciai. Non aveva bisogno del amore per essere un Super Hero, lo era già. Faceva il poliziotto e per ciò la casa era bella, spaziosa e moderna. A cuba un poliziotto della polizia stradale guadagna 3 volte quello che guadagna un chirurgo! Infatti di fronte alla casa, era parcheggiato una Moto Guzzi della polizia stradale cubana, era la sua. Stava per andare al lavoro e teneva il vestito blue marina della polizia stradale. La camicia e il pantalone li incollava cosi forte a dosso che i suoi muscoli sembrava ancora più impressionante. Faceva impressione pero era una persona per bene, calmo, tranquillo. Vedendo il suo padre, capivo di colpo perché lei aveva quel fisico esagerato. Loro, non erano semplici essere umani, erano dei Dei venuti di un altro mondo, dei giganti di non so che pianeta. Di sicuro, io non venivo di quella pianeta. Lui mi fecce alcune domande come fanno tutti i padri al mondo. E poi sempre le stesse domande sulle foto..per chi? Che giornale.. e come..? oramai ero abituato. Poi se ne andò a lavorare. Il posto era carino ma come ho già detto, era la campagna e non c’era nulla da fare, proprio niente. Era un deserto. Li propone di trovare una macchina e tornare verso l’Avana. Trovare una macchina…. Venus era una donna giovane ma in gamba. Teneva con sé il numero di un vicino che ci avrei accompagnato fine al Malecon, verso il Vedado per un prezzo, quasi 5 volte inferiore alla mia andata. Un prezzo in peso e non in dollaro! La macchina del vicino era una vecchia Chevrolet completamente distrutta, rovinata, a pezzi che andava a 20 km ora nel caso migliore. Il chauffeur era un vecchio bianco e quando si parcheggio di fronte a casa sua, lei mi disse nelle orecchie : “ è un bianco, pero non ti preoccupare, è buono.”
Cosi siamo tornati verso l’Avana. Era il tramonto ed era ottobre. L’Avana è la città più bella che ho visto al mondo e ne ho visto parecchie ma mai ho sentito fortemente una città come L’Avana. Proprio Mai. È incantevole soprattutto al tramonto e sul Malecon con la brezza del autunno che rinfresca tutto.
Fine si fine perché come si sa, tutte le cose buone hanno una Fine. Ed io lo so più che bene.
La vita, l’Avana, io, lei e l’autunno. Sopra tutto l’autunno al tropico.
Spesso le donne mi chiedono realismo ma io, posso dare che magia, seulement de la magie un point c’est tout!
Comunque quel giorno il realismo viene toccare alla mia porta. Welcome Hermano.
Era novembre, l’autunno era più che avanzato. Era fine mattinata ed ero nel patio di casa mia, quando vedi arrivare Venus. Mi ricordo che c’era un bel sole che faceva ombre grazie alle foglie degli alberi di casa mia o della strada. C’era la brezza del autunno che caratterizza questa parte della città, c’era pure un cielo azzurro scuro, stupendo che annuncia l’inverno. Pero l’inverno tropicale, riscaldato. C’era in giro per la calle, i miei vicini alla ricerca di poco e quasi niente per il pranzo o la scena. Un paese, un’isola, una città, Una Capitale, che non conosce supermercati, ma pure neanche una salumeria, un macellaio, un venditore di verdura o pesce fresco. No nulla di tutto ciò. Solo alcune bancarelle in mezza la strada con poca roba da vendere, per lo più, riso, fagioli neri, porco, frutta bomba, mango, patate dolce (a volte) e avocado…questo era il menù, invariabile ma come diceva il Comandante, un menù ricco in vitamine!
Al angolo della mia strada, c’era come lo già detto, il commissariato di polizia del quartiere Vedado. Di fronte c’era la mensa dei poliziotti. Un giorno che stavo tornando a casa, al inizio della mia permanenza al Havana, un cuoco o cuoca della mensa mi fischio e mi disse: “Ola companero – per tutti ero un companero – senti se voi mangiare bene, questo è il posto giusto…” Perché come si sa, per la polizia, c’è da mangiare! Lei o lui mi disse che mi poteva vendere dei piatti succulenti (!) per pochi dollari. Quando dico pochi sono veramente pochi. Si tratta di uno, due, maxi 3 negli giorni di grande crisi. “Comunque companero faremo cosi…:” “quando l’ombrellone nostro (c’era infatti un ombrellone nel giardino) sarà aperto, significa che ci sono i poliziotti dentro, che mangiano e tu non devi venire, è vietato.” “Invece quando lo vedrai chiuso, significa che non ci sono più i poliziotti dentro la mensa e cosi poi venire ad ordinare un piatto e te lo portiamo a casa tua… abbiamo pure del pollo e a volte anche il pescado…” cosi per la prima volta gusto il pescado cubano, un pesce bianco e senza sapore pero sempre pesce è! L’importanza era mangiare e tutti giorni, punto.
Di nuovo mi sono perso e ho dimenticato Vénus che stava per entrare nel patio di casa mia. Era la prima volta che la vedevo arrivare in quel ora, un orario che non era nostro. Par chance quella mattina non ero uscito a fotografare ma ero li, seduto sulla rocking chair sul terrazzo di casa mia.
Quella mattina, lei era vestita in un modo semplice e non esuberante e sensuale. Per cominciare era vestita e non teneva quel 100 grammi di stoffe addosso. Si era lei. Era come dire, Ordinaria. Pensai subito, cosi sta meglio per i miei vicini.
Teneva con sé, decina di documenti, lettere e dossier in mano. Era diversa ma era lei.
Io li disse: “E tutta questa roba, cos’è?” “guarda…vedi tu…” mi mostro una pilla di carte, timbri sotto, sopra, documenti e cose varie. Il mio spagnolo non era cosi buono per capire tutto quello scritto e tra l’altro mi importava poco di tutta questa roba amministrativa quando a un certo momento mi fermo di colpo…c’era scritto il suo lunghissimo nome e cognome e chi sa cosa ancora con dopo la parola CASADO…. Come ho già detto, il mio spagnolo non era perfetto, anzi, pero la parola casado significava e senza nessun’ dubbio: SPOSATA. Lei era sposata! SPOSATA.
“Ma, ma sei sposata?” “Si” “E con chi..?” alla fine, che cosa mi importava con chi era sposata pero in questi casi siamo tutti un po’ stupidi e facciamo delle domande in conseguenze. Comunque.
“Sono sposata da quasi un anno con un italiano, guarda è scritto….” “UN ITALIANO!!” “da QUASI un ANNO..?” il quasi ha tutta la sua importanza in questo caso.
Lei era tranquilla, serena con la voce dolce.. “Si un italiano di Modena…una città vicino a Bologna…” “SI lo so dové MODENA….un Buco…” “Comunque parto…” “Come parti..? in che senso PARTI?” “Si parto, me ne vado… fra una settimana..” “ FRA UNA SETTIMANA..?” “Si sono quasi un anno che aspetto la carta bianca, tu sai cos’è la carta bianca..e l’altro giorno mi hanno chiamato. Era arrivata, firmata. Per ciò sta mattina sono passata cosi al imprevisto da te perché dovevo andare a ritirare tutte le carte negli uffici e al Ambasciata italiana che si trova su Paseo, vicino a te…”
SILENZIO
Avevo a disposizione ancora una settimana con la mia Vénus e poi basta. Si basta. Avrei dovuto approfittare del poco che mi rimaneva a passare più tempo con lei pero invece quella settimana ci siamo visti poco, pochissimo. Era già partita per me e come ho detto al inizio, io sono cosi…O tutto, O niente! Una sera prima la partenza, abbiamo fatto l’amore più volte, si più volte e anche si
faceva meno caldo che due mesi prima, comunque il fiume di sudore scivolava e incollava, per sempre, i nostri corpi nudi. Quella sera lei era venuta per la prima volta e per cioè, abbiamo ripetuto l’Amore per non dimenticare. E non dimentico.
Dopo poche settimane dopo di lei, sono tornato a Parigi, era terribilmente grigio, pioveva pure e non c’era nulla di romantico. Proprio nulla. Sono passati quai 20 anni. Quasi. Non ho mai più rivisto Vénus nella mia vita.
Un anno dopo, ero, come Ulisse, su un’altra isola, più piccola, molto più piccola e vivevo li. Ero su un’isola del Mediterraneo, di fronte al golfo di Napoli e avevo preso casa li. Una sera di fine autunno, inizio inverno pero un inizio d’inverno mediterraneo, ricevo una telefonata, era lei. Era in Italia e parlava in italiano. Non so come è riuscita ad avere il mio numero di telefono, non ho idea pero era lei al telefono. Abbiamo parlato un po’, cosi e come la linea prendeva male, il tutto sé interrotto. Interrotto per sempre.
Testo Nicolas Pascarel | www.pascarelphoto.com
PDF: venus_pascarel_cuba